Lavoro dipendente

Tuteliamo la corretta applicazione delle norme a garanzia dei vostri diritti.

Ai lavoratori dipendenti offriamo Consulenza, Assistenza Stragiudiziale e Assistenza Giudiziale in via esemplificativa nelle seguenti materie e questioni di Diritto del Lavoro:
  • Esame CCNL e altri contratti di riferimento;
  • questioni relative a contratti a tempo indeterminato, a tempo determinato/termine, a tempo pieno e a tempo parziale/part time, altre figure contrattuali ammesse, apprendistato;
  • questioni su categoria, qualifiche e mansioni;
  • questioni su trattamenti economici (retribuzione, straordinario, indennità varie, benefits, premi, etc.);
  • mobbing, molestie, discriminazioni (sesso, età, maternità, disabilità, razza, religione);
  • agenzia e patto di non concorrenza;
  • questioni relative a conservazione diritti in caso di cessione d’azienda o ramo della medesima;
  • questioni in caso di trasferimento;
  • questioni connesse alla sicurezza sul lavoro;
  • risarcimento danno da parte datoriale in caso di infortuni sul lavoro e/o malattie professionali;
  • impugnazione contestazioni e sanzioni disciplinari conservative;
  • impugnazione licenziamento;
  • Consulenza per nuovi contratti di assunzione;
  • consulenza per gestione cambio datore di lavoro.

Domande frequenti

Come far valere i propri diritti?

Due i presupposti essenziali per far valere i propri diritti:

a) Rispettare i termini entro i quali fare ricorso
Conoscere l’esistenza dei termini entro i quali i propri diritti possono essere legittimamente promossi e rispettarli, a pena di decadenza (ad es. in caso di licenziamento, trasferimento, conversione di rapporti contrattuali, etc.) o di prescrizione (ad es.in caso di maggiori retribuzioni spettanti per mansioni che si assumono in effetti prestate negli anni e maggiori di quelle formalmente assegnate).
L’esistenza di tali termini comporta la necessità per gli interessati di attivarsi in maniera tempestiva per informarsi con l’Avvocato sul da farsi, onde prevenire ed evitare il rischio del loro decorso e così della perdita solo per tale ragione dei relativi diritti.

b) Raccogliere le prove
È il principio giuridico dell’onere della prova: chi non è in grado di provare il diritto vantato (a mezzo documenti e/o testimoni) solo per questo motivo se lo vede negare in sede giudiziale. I mezzi di prova devono essere raccolti e forniti tutti all’Avvocato prima di andare in giudizio.

E’ contestabile il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta?

Tale ipotesi di licenziamento non è per malattia (per sua natura transeunte) e non gli si applica, quindi, la disciplina della conservazione del posto di lavoro per il periodo di comporto. Tale licenziamento rientra nella categoria di quello per giustificato motivo oggettivo. Può essere impugnato argomentando, -se possibile-, la mancata assegnazione di diverse mansioni disponibili in azienda e compatibili con la propria residuata idoneità fisica, ma anche contestando il mancato riassetto organizzativo aziendale finalizzato alla tutela del diritto del disabile ad essere posto in una condizione di uguaglianza con gli altri lavoratori, con l’assunzione di misure che assicurino la possibilità di accesso, di effettuazione della prestazione lavorativa, di essere promossi e di avere una formazione.
Il mancato riassetto organizzativo determinante l’illegittimità del licenziamento, però, è invocabile a condizione che sia possibile a mezzo di “accomodamenti ragionevoli”, da escludere quando richiedano al datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato o l’adozione di misure eccessive rispetto sia all’organizzazione aziendale esistente, sia agli altri lavoratori dipendenti; proporzionalità e non eccessività degli accomodamenti vanno valutate in concreto.

E’ legittimo che sia stato licenziato per superamento del periodo di comporto computando in esso anche periodi di assenza dal lavoro connessi a un infortunio sul lavoro o a malattia professionale riconosciuti dall’INAIL?

In passato si riteneva che solo la malattia comune, gestita dall’INPS, fosse computabile nel periodo di comporto e non quella di competenza dell’INAIL, in quanto connessa alla prestazione lavorativa. La giurisprudenza, invece, ritiene che l’origine professionale della malattia non ne impedisca il computo nel periodo di comporto, potendosi escludere tale computo solo se, in relazione alla medesima malattia e alla sua genesi, sussista un’effettiva responsabilità del datore di lavoro

E’ legittimo che sia stato licenziato per superamento del periodo di comporto dopo che avevo già ripreso a lavorare?

Decorso il periodo di comporto il datore di lavoro ha diritto di risolvere il rapporto di lavoro, sicchè il mantenimento di tale rapporto rientra in una sua facoltà discrezionale, correlata all’interesse dell’impresa.
La valutazione di tale interesse aziendale può richiedere al datore un certo periodo di tempo per decidere e quindi questo licenziamento può intervenire anche dopo che il lavoratore abbia ripreso l’attività lavorativa, purchè la decisione del datore di lavoro intervenga entro un tempo “ragionevole”.
La valutazione se il licenziamento sia legittimo in quanto intervenuto entro un periodo di tempo tollerabile dal rientro in attività del lavoratore o sia invece illegittimo perchè il tempo trascorso debba leggersi come un’intervenuta implicita rinuncia del datore di lavoro a tale recesso non può essere effettuata che con riguardo al caso concreto e decisa in sede giudiziale

Come posso cercare di evitare di esaurire il periodo di comporto e così il conseguente licenziamento?

Bisogna riprendere a lavorare prima del decorso del periodo di comporto.
Occorre calcolare bene il decorso del tempo corrispondente al periodo per cui ho contrattualmente diritto alla conservazione del posto di lavoro a causa di malattia, considerando che in tale periodo vanno computati anche i giorni festivi, quelli non lavorativi o di fatto non lavorati, presumendosi la continuità durante essi della malattia che mi affliggeva durante i giorni lavorativi, presunzione che può essere vinta solo dalla prova del rientro in servizio. Per bloccare il decorso del periodo di comporto posso chiedere di essere messo in ferie o in aspettativa e i relativi giorni non saranno computati nel calcolo del decorso del comporto ovvero saranno scomputati da esso.

Che cos’è il licenziamento per superamento del periodo di comporto?

E’ un’ipotesi particolare di licenziamento, diversa sia da quello disciplinare che da quello per giustificato motivo oggettivo.
Il lavoratore, infatti, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro quando si assenta e non esegue la prestazione lavorativa a causa di una malattia (debitamente certificata e comunicata); tale diritto alla conservazione del posto di lavoro, però, incontra un limite di durata, indicato dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro, che configura il così detto periodo di comporto.
Il periodo di comporto può essere coperto sia da un’unica assenza ininterrotta, sia dalla sommatoria di diversi periodi di assenza in un dato periodo complessivo di riferimento previsto dalla contrattazione collettiva (di solito tre anni calcolati a ritroso dalla data di licenziamento).
Decorso il periodo di comporto il datore di lavoro ha diritto di recedere dal rapporto di lavoro, dando il preavviso lavorato o pagando al lavoratore la relativa indennità sostitutiva.

Vale la pena impugnare una sanzione disciplinare conservativa in sede giudiziale?

Spesso sono diverse le ragioni per le quali non si impugna la sanzione conservativa in sede giudiziale e tra esse si possono ipotizzare la difficoltà di provare nel caso concreto l’infondatezza dei fatti addebitati e il conseguente timore di vedersi rigettare la domanda venendo pure condannati al pagamento delle spese di lite, la considerazione del comunque contenuto valore economico della sanzione e il desiderio di non ravvivare e lasciare alle spalle tensioni con il datore di lavoro.
Accanto a tali comprensibili ragioni, però, occorre anche considerare che la sanzione disciplinare conservativa rientra in sede giudiziaria tra le cause di valore indeterminabile perchè la sua applicazione può esplicare un’incidenza sullo status del lavoratore, implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, diligenza e capacità professionale del lavoratore medesimo. Inoltre, se pure l’art. 7, ult. co., L. n. 300/19709, dispone che “non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione”, tuttavia c’è giurisprudenza che afferma che le sanzioni disciplinari applicate prima del biennio dagli ultimi fatti oggetto di contestazione possano essere comunque considerate per valutare la gravità dei fatti più recenti addebitati e così anche concorrere a legittimare il licenziamento

Ho ricevuto dal datore di lavoro una lettera in cui mi contesta determinati comportamenti che avrei tenuto sul lavoro e di giustificarmi entro un certo termine, cosa devo fare?

Occorre presentare delle giustificazioni scritte nel termine indicato, coinvolgendo immediatamente un esperto che mi aiuti a comprendere il significato della contestazione disciplinare alla luce dei fatti addebitatimi e le possibili conseguenze, allo scopo di esporre al meglio le mie ragioni cercando di risolvere la questione in via amichevole.

Cosa sono le sanzioni disciplinari conservative?

Le sanzioni disciplinari conservative del rapporto di lavoro sono quelle diverse dal licenziamento e consistono nel rimprovero verbale, il rimprovero scritto, la multa per un importo non superiore a 4 ore della retribuzione di base, la sospensione dalla prestazione lavorativa e dalla retribuzione sino ad un massimo di 10 giorni.

Ho ricevuto dal datore di lavoro una lettera di contestazione disciplinare, ho risposto dando le mie giustificazioni scritte ed ho ricevuto una sanzione disciplinare conservativa, cosa posso fare?

Posso impugnare la sanzione o promuovendo, entro 20 giorni da che mi è stata comunicata e tramite l’Ufficio territoriale del lavoro, un collegio di conciliazione ed arbitrato o rivolgendomi al Tribunale entro l’ordinario termine di prescrizione.

Quanto al ricorso al Tribunale, però, occorre considerare il rischio delle condanna alle spese per il caso di rigetto della domanda, sicché per decidere se impugnare la sanzione disciplinare in tale sede occorre valutare i fatti che mi sono stati addebitati e se sia in grado di provare le mie argomentazioni volte a contestarne la fondatezza.

Sono un Dirigente ed ho ricevuto una lettera di contestazione disciplinare per miei comportamenti extralavorativi, è corretto?

In linea di massima potrebbe esserlo; mentre gli altri dipendenti rispondono disciplinarmente solo per comportamenti lavorativi, il Dirigente, a causa dell’elevato rapporto di fiducia che lo lega al datore di lavoro, può essere chiamato a rispondere anche per propri comportamenti privati extralavorativi che siano ritenuti incidenti sul rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

E’ sufficiente per contestare il licenziamento impugnarlo entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione?

No. La comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento effettuata entro 60 giorni dalla sua ricezione può bastare per avviare trattative volte a cercare una soluzione stragiudiziale e anche per trovarla, sapendo però che se non si trova una soluzione ed io non promuovo un tentativo di conciliazione o arbitrato o una causa giudiziale per far valere le mie ragioni entro i successivi 180 giorni dalla mia prima impugnazione del licenziamento perderò il diritto di contestarlo.

Sono stato licenziato senza ricevere prima una lettera di contestazione disciplinare, è corretto?

Si se si tratta di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e lavoro per un’impresa che ha meno di 15 dipendenti (5 se si tratta di un’impresa agricola).
Se lavoro per un’impresa avente più di 15 dipendenti (più di 5 se agricola) il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non richiederebbe comunque una previa contestazione disciplinare, ma dovrebbe essere preceduto da un procedimento avviato dal datore di lavoro presso la Direzione territoriale del lavoro per cercare di trovare una soluzione e richiederebbe il mio coinvolgimento, sicché l’assenza di tale procedimento costituirebbe un motivo di invalidità del licenziamento (l’obbligo del coinvolgimento della Direzione/Ispettorato territoriale del lavoro non opera, però, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo degli assunti dal 7.3.2015 in poi).

Che cos’è il licenziamento per giusta causa?

E’ il licenziamento del dipendente che ha tenuto un comportamento tale da rendere impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, facendo venire meno in maniera irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Ci sono eccezioni all’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’impugnazione del licenziamento entro 60 giorni dalla sua ricezione e quindi di agire entro i successivi 180 giorni?

Sì, tali termini non si applicano quando si impugna il licenziamento ritenendolo viziato da una ragione di nullità prevista dalla Legge (perché orale o comminato ad una lavoratrice incinta o in concomitanza del matrimonio, o discriminatorio o per motivo illecito determinante…); in tali casi il lavoratore potrebbe impugnarlo anche dopo il decorso del termine di 60 giorni da quando gli è stato comunicato, pretendendo il risarcimento dei danni e la reintegrazione nel posto di lavoro.

Che cos’è il licenziamento per giustificato motivo soggettivo?

E’ il licenziamento del dipendente che si ritiene abbia realizzato un notevole inadempimento ai propri obblighi contrattuali nei confronti del datore di lavoro, ad esempio perché non ha svolto in maniera corretta i compiti assegnati cagionando un danno o per cumulo di precedenti contestazioni e conseguenti sanzioni disciplinari.

Sono un Dirigente ed ho ricevuto la lettera di licenziamento, sono obbligato anch’io dal rispetto dei termini di 60 giorni per comunicare l’impugnazione al datore di lavoro e dei successivi 180 giorni entro cui agire giudizialmente previsti a pena di decadenza per gli altri dipendenti?

Non c’è una norma che estenda anche ai Dirigenti l’applicazione dei termini di decadenza per impugnare il licenziamento previsti per gli altri dipendenti (Operai, Impiegati e Quadri) e quindi si sostiene che tali termini non si applichino all’impugnazione del licenziamento del Dirigente. Occorre però tenere conto del fatto che nella prassi tali termini vengono rispettati anche quando sia un Dirigente ad impugnare il proprio licenziamento e che è intervenuta qualche pronuncia giurisprudenziale che ha ritenuto l’applicazione dei termini di decadenza ai Dirigenti, sicché si pensa più prudente, -se possibile nel caso concreto-, prevenire eccezioni al riguardo ed agire tenendo conto di tali termini.

E’ sufficiente ritenere di avere ragione e che abbia torto il datore di lavoro per veder riconoscere l’illegittimità del licenziamento dal parte del Giudice?

No. Infatti, anche se nel processo l’onere della prova della fondatezza del licenziamento grava sul datore di lavoro, io dipendente dovrò comunque cercare di dimostrare la legittimità e correttezza dei miei comportamenti ovvero l’infondatezza dei fatti disciplinari addebitatimi e posti alla base del licenziamento. Nel caso di impugnazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovrò cercare di dimostrare l’infondatezza dei motivi addotti dal datore di lavoro.

Nelle cause di lavoro sino a quando posso presentare documenti e testimoni per provare i fatti che pongo a fondamento delle mie ragioni? Posso farlo quando voglio?

Regola fondamentale del processo del lavoro, quale che sia l’oggetto del contendere, è che i testimoni e i documenti che ritengo dimostrino la fondatezza delle mie ragioni o l’infondatezza di quelle del datore di lavoro devono essere indicati nel ricorso introduttivo del giudizio e depositati con quello; se non lo faccio non potrò pretendere di avvalermi in giudizio di quei documenti e testimoni e potrò perdere la causa anche se con quelli l’avrei invece vinta.

Cosa posso aspettarmi dal veder riconosciuta in sede giudiziale l’illegittimità del mio licenziamento?

A seconda dei diversi vizi che possono affliggere il licenziamento la Legge prevede diverse conseguenze.
Se il licenziamento risulta viziato da una ragione di nullità prevista dalla Legge (perché orale o comminato ad una lavoratrice incinta o in concomitanza del matrimonio, o discriminatorio o per motivo illecito determinante…) mi spettano il risarcimento dei danni e la reintegrazione nel posto di lavoro.
Nelle imprese con più di 15 dipendenti (di 5 se agricole) in alcuni casi (ad es. insussistenza del fatto materiale contestato per la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo) il licenziamento è annullabile e il dipendente ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro con un risarcimento del danno entro un limite massimo di Legge, mentre nella maggior parte dei casi il licenziamento resta valido e il dipendente ha diritto solo a ricevere un risarcimento del danno in misure variabili entro limiti previsti dalla Legge.
Nelle imprese di meno di 15 dipendenti (5 se agricola) il licenziamento illegittimo resta valido e al lavoratore spetta solo un’indennità determinabile nella misura indicata dalla Legge.
In linea di massima, in relazione alle mie contestazioni al licenziamento e al loro possibile accoglimento, posso farmi un’idea delle conseguenze anche economiche che avrebbe l’accoglimento della mia impugnazione e meglio valutare ipotesi concrete di soluzione transattiva con il datore di lavoro.

Sono un Dirigente, le cause giustificatrici che il datore di lavoro può addurre al mio licenziamento sono le medesime applicabili agli altri dipendenti? (giusta causa, giustificato motivo soggettivo, giustificato motivo oggettivo)?

No, sono più ampie. In linea generale, la giusta causa ricorre in presenza di qualsiasi circostanza, anche attinente alla sfera privata, ritenuta idonea a ledere il rapporto di fiducia; si parla altresì di giustificatezza del licenziamento del Dirigente, che si configura oltre che nel caso di lesione del rapporto di fiducia, anche nel caso di soppressione della posizione, di mancato raggiungimento degli obbiettivi concordati e di contrasto con le scelte aziendali.

Che cosa succede se il datore di lavoro mi assegna allo svolgimento di mansioni superiori alla mia formale qualifica di appartenenza?

Ho diritto a vedermi pagare la maggior differenza retributiva spettante per il livello superiore in cui rientrano le mansioni di fatto da me svolte e per il tempo corrispondente di effettiva adibizione, con l’avvertenza che, se l’assegnazione non sia dovuta espressamente a ragioni sostitutive di altri dipendenti aventi diritto alla conservazione del posto, decorso il tempo previsto dalla Legge o dalla contrattazione collettiva di assegnazione ho diritto di vedermi riconosciuta in via definitiva tale posizione superiore insieme al corrispondente trattamento economico.

Sono un Dirigente, al di fuori dei casi di nullità, mi spettano le medesime tutele previste dalla Legge per gli altri dipendenti in caso di illegittimità del mio licenziamento?

No, in linea generale al Dirigente spettano l’indennità sostitutiva del preavviso lavorato nel caso che il licenziamento sia sprovvisto di giusta causa e il preavviso e l’indennità supplementare in caso di licenziamento sprovvisto di giustificatezza; in tale ottica la tutela economica del Dirigente per il momento in cui avviene la cessazione del rapporto di lavoro dipende molto da quanto concordato al riguardo all’inizio del rapporto, che costituisce quindi il vero momento in cui eventualmente farsi assistere da un esperto.

Il datore di lavoro può modificarmi liberamente le mansioni contrattuali assegnandomene di inferiori?

Il datore di lavoro può destinarmi a svolgere mansioni inferiori a quelle per le quali mi assumeva o a quelle superiori che acquisivo durante il rapporto di lavoro, ma solo a seguito di modifica degli assetti organizzativi dell’impresa; le mansioni diverse assegnatemi devono comunque rientrare nella mia categoria di appartenenza e nel livello di inquadramento inferiore al mio; il mutamento di mansioni deve essermi comunicato previamente per iscritto a pena di nullità;la retribuzione deve essermi conservata inalterata, salvi solo gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa che siano venute meno.
Diverse modifiche (ad es. di categoria, di più livelli di inquadramento, etc.) vanno concordate nelle sedi protette di cui all’art. 2113 c.c. a pena di nullità.

Un accordo scritto con il datore di lavoro con il quale io rinunzi o transi diritti lavorativi riconosciutimi dalla Legge o dalla contrattazione collettiva è valido?

Tali accordi sono validi solo se stipulati nelle sedi protette previste dalla Legge; si evidenzia, però, che l’invalidità di tali accordi può essere fatta valere solo impugnandoli entro il termine di sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o dalla loro stipula se successiva alla cessazione del rapporto di lavoro e ciò a pena di decadenza.

Posso affermare di essere stato adibito allo svolgimento di mansioni proprie di una qualifica, livello o categoria superiore alla mia sulla base del fatto che svolgo le stesse mansioni di un mio superiore?

No. Può accadere che il mio collega con un livello superiore al mio svolga abitualmente mansioni inferiori a quelle di formale appartenenza, oppure che le sue mansioni siano contrattualmente in gran parte coincidenti con quelle proprie della mia, diversificandosi però per pochi compiti o mansioni proprie solo della sua e solo da lui in effetti esercitate.

Che cos’è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo?

E’ quello del dipendente per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro, al regolare funzionamento di essa; può rilevare la situazione di difficoltà economica dell’azienda, ma anche la necessità di rivedere l’organizzazione produttiva pur in un contesto favorevole. Tale licenziamento non ha natura disciplinare come quelli per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, sicché non deve essere preceduto dalla lettera al dipendente di contestazione e dal conseguente procedimento disciplinare.

Su che basi posso pensare di poter legittimamente affermare di stare svolgendo mansioni proprie di una qualifica o categoria superiore e rivendicarne la maggior retribuzione se non la stessa titolarità?

Per poter rivendicare la retribuzione di un livello o categoria superiori alla propria occorre confrontare i mansionari contrattuali della propria qualifica di appartenenza formale e di quella superiore rivendicata ed essere in grado di provare a mezzo documenti e/o testimoni l’effettivo continuativo svolgimento dei compiti e mansioni del livello o categoria superiore, in particolare l’esclusivo o prevalente svolgimento dei compiti e mansioni specificamente proprie della superiore.

Ho diritto di lamentarmi con il datore di lavoro per le condizioni di sicurezza e salute del luogo di lavoro o sui rapporti con colleghi o superiori che ritengo dannosi nei miei confronti?

Sì. Il datore di lavoro deve adottare per Legge le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del dipendente e deve quindi intervenire a mia tutela per prevenire ed evitare situazioni o comportamenti che possano danneggiarmi (si pensi ad es. al danno biologico sofferto dal dipendente a seguito di esposizione lavorativa al rischio di inalazione di fibre di amianto, fumo, polveri, idrocarburi policiclici armatici, rumori, vibrazioni o ad altri agenti lesivi, al danno sofferto da mobbing, etc.)

Ho accettato di lavorare in base alla promessa di una prossima regolarizzazione del rapporto di lavoro che però non è mai intervenuta, cosa posso fare per veder regolarizzare il mio lavoro e così pagate le eventuali maggiori differenze retributive contrattualmente spettanti e i contributi?

Spesso il lavoro irregolare viene rilevato dagli Ispettori dell’Ufficio territoriale del lavoro, ma le sanzioni che essi comminano al datore di lavoro non bastano al lavoratore per vedere in concreto riconosciuto il diritto al lavoro o quantomeno i suoi diritti economici, dovendo a tal fine egli promuovere specifica azione giudiziaria contro il datore di lavoro.

Quali sono gli indici dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, cioè le cose che devo dimostrare in giudizio a mezzo di documenti e/o testimoni per veder riconoscere l’esistenza di un mio rapporto di lavoro subordinato?

Devo poter provare di aver eseguito con continuità la mia prestazione lavorativa in favore di chi affermo essere il mio datore di lavoro, di aver percepito da quello una retribuzione a tempo, di essere stato inserito in maniera stabile nella sua organizzazione aziendale e di essere stato assoggetto al suo potere direttivo, di controllo e disciplinare. Sono indici ulteriori di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato l’aver lavorato con un vincolo d’orario, l’assenza per il lavoratore del rischio di impresa, l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore di lavoro.

Nell’ambito della mia prestazione lavorativa ho fatto delle invenzioni, che il datore di lavoro ha brevettato e mi chiedo quali siano i miei diritti al riguardo.

In linea di massima, il lavoratore ha diritto a vedersi riconosciuta la paternità dell’invenzione, mentre il diritto allo sfruttamento economico spetta al datore di lavoro.
Al lavoratore può spettare un riconoscimento economico per l’invenzione da parte del datore di lavoro, che può consistere in una specifica posta della retribuzione quando l’attività inventiva del lavoratore sia espressamente contemplata nel contratto oppure, in difetto di una tale previsione contrattuale e retributiva, nel diritto a ricevere un equo premio, per la cui quantificazione e pagamento, in caso di disaccordo con il datore di lavoro, serve l’assistenza di esperti.

Ritengo di aver diritto di ricevere dal datore di lavoro delle somme che mi ha pagato a titolo di retribuzione in misura inferiore del dovuto o che non mi ha pagato affatto, sino a quando posso agire per farmele pagare?

Il termine per azionare il credito  del lavoratore al pagamento di somme di denaro dovute a titolo retributivo è soggetto a prescrizione quinquennale. Sino alla riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e sulla base delle diversa forza delle tutele assicurate al dipendente in caso di licenziamento si riteneva che nelle imprese con più di 15 dipendenti (5 se agricole) il termine per far valere diritti di credito del lavoratore iniziasse a decorrere dal momento del ritenuto singolo inadempimento del datore di lavoro al proprio obbligo di pagamento, mentre per le aziende con meno di 15 dipendenti (di 5 se agricole) il termine per far valere i diritti di credito iniziasse a decorrere dalla data di cessazione  del rapporto di lavoro; oggi, a seguito della riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e della limitazione dei casi in cui è prevista la reintegrazione del lavoratore licenziato, si sta diffondendo l’idea che il termine quinquennale per far valere crediti retributivi nei confronti del datore di lavoro inizi a decorrere sempre dalla cessazione del rapporto di lavoro.